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giovedì 18 marzo 2021

Siamo noi i replicanti


Che cos'è il mito della caverna di Platone se non una visione futuristica del cinema per noi contemporanei? E chi sono quegli uomini in catene che guardano immagini (ombre) riflesse dal "fuoco"  su una parete?  Avevo 17 anni quando ho visto il primo Blade Runner in un cinema di Milano in prima visione nell'ormai lontano 1982. 

La sala era gremita e molti lo guardarono in piedi. C'era molta attesa per questo film dopo Alien del 1979 in cui Ridley Scott si presentava come il nuovo regista visionario della SF. In quell'anno uscì un altro film "La cosa" di John Carpenter rifacimento di "La cosa da un altro mondo" del 1951 il cui tema era in qualche modo simile a quello di Alien. L'eterna storia del licantropo "azzannato" (da un cane o da un alieno) che si trasforma in qualcosaltro in un mostro, un diverso, un alieno appunto.

 Nel 1982 l'aids era già una realtà anche se in italia ancora poco conosciuta (30 milioni di morti e nessun vaccino a oggi) e quel clima di claustrofobico terrore ben espresso in entrambi i film fu in qualche modo l'annunciato presagio di un mondo a venire nel modo in cui a volte gli uomini riescono a leggere un futuro confuso attraverso impercettibili sogni (o incubi)  Il Blade Runner di Mr. Scott era ambientato in quello che per noi allora era ancora un futuro lontano, il 2019 di una crepuscolare e notturna Los Angeles ed era tratto da una delle opere di un altro scrittore di culto della SF americana Philip K. Dick. Il tema di tutta l'opera dello scrittore californiano è facilmente riassumibile in una sola domanda: che cos'è la realtà? Un problema di sempre della filosofia (a partire da Platone appunto) ma non molto frequentato in letteratura e specialmente dagli scrittori di SF da sempre (ingiustamente) considerata un ramo minore della narrativa.

Inutile dire che quel film è oggi considerato un cult ed è entrato di diritto nella storia del cinema e non solo di fantascienza. All'epoca (nei ruggenti 80 della Milano da bere) era solo un buon film distopico, un vago rumore di fondo in una realtà fatta di slanci verso un radioso futuro tutto da conquistare tra l'ottimismo reganiano e la "crescita felice" di un nuovo benessere che era fatto di debiti e plastica, ma lo avremmo capito più tardi anche se le voci contrastanti alla lettura mainstream non mancarono sin da allora. Ottimismo era la parola d'ordine di quegli anni e Blade Runner che ci mostrava un cupo futuro niente altro che un film. Forse è utile ricordare un'altra opera di grande successo mondiale di quel periodo che aiuta a mettere a fuoco gli anni 80, in questo caso un opera di narrativa da cui anche qui fu in seguito tratto un film di grande popolarità: Il nome della rosa di Umberto Eco. Un libro che ha venduto ad oggi qualcosa come 55 milioni di copie nel mondo, un opera in questo caso che parla del passato e non di un futuro prossimo, un libro ambientato nel medioevo. 

Mi sono spesso chiesto in quegli anni il perchè di un successo così eclatante (al di la degli ovvi meriti di narrazione di un maestro come Eco) in un opera "dark"anche se abilmente cammuffata da "giallo" in piena epoca di ottimismo ed edonismo reganiano. Oggi dopo aver viaggiato nel futuro, nell'unico modo possibile cioè invecchiando, posso tentare una risposta. Eco non parlava del passato ma del futuro prossimo nello stesso modo di Blade Runner. Il nuovo medioevo nel quale oggi siamo completamente immersi senza farci mancare nulla, nemmeno la nuova peste del covid 19.

Nel libro di Eco la cultura è uccisa attraverso l'occultamento del libro di Aristotele sulla satira. Nessuno ride mai a parte Salvatore il monaco storpio e matto. Nessuno ride mai nemmeno nei vangeli o nella bibbia, Gesù non ride e se lo fa nessuno ne ha mai scritto. Eco è ben consapevole di questo e costruisce un opera intorno a un periodo storico fornendoci anche l'arma per uscirne. La satira, la risata, la caricatura, la parodia di cui si è ormai persa traccia nel romanzo e nel cupo tempo presente della pandemia e di questo nuovo medioevo.  Apro parentesi -Uno degli slogan più belli del 68 era: "sarà una risata che vi seppellirà" e il fatto che un geniale comico sia nel frattempo diventato il fondatore del più grande movimento rinnovatore in italia (comunque la ai pensi questo è un fatto) non è ancora stato pienamente compreso mi pare. - chiudo parentesi.

Oggi, nel 2021, il tempo di Blade Runner che era il futuro all'epoca dell'uscità del film, è solo il passato. Il 2019  l'anno di inizio della pandemia in Cina. La "profezia" è compiuta, intelligenza artificiale, Cyborg, supercomputer, metadati,identità digitale, big data, big corporations, virtual reality, rete, connessione digitale, automi, computer quantistici sono ormai tutte realtà in divenire. 

"E' tempo ormai per un nuovo film" deve essersi detto Ridley Scott (questa volta in veste di produttore) e infatti ne fa uscire un'altro nel 2017 per la regia di Dennis Villeneuve: Blade Runner 2049. L'asticella si sposta più in la di una trentina d'anni, grosso modo come nel primo film, ma la metafora rimane la stessa. I replicanti siamo noi che assomigliamo ormai sempre più a macchine senza nulla di umano. Si cercano briciole di umanità nell'unica forma possibile, il ricordo. Qualcosa che aveva ben capito già Proust ai suoi tempi. Il ricordo come conoscenza e riscatto dell'umano. Noi siamo i nostri ricordi e siamo plasmati dai ricordi, altrimenti siamo solo alberi morti o cyborg, che fluttuano nel perenne, continuo e roboante messaggio subliminale, di un eterno presente il cui mantra filosofico è quello di una pubblicità: Life is now

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