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sabato 11 dicembre 2021

La peste


Mentre leggo "La peste" di Camus mi ritrovo a considerare i nostri tempi afflitti dalla pandemia da Covid 19 da ormai 2 anni (e siamo appena entrati nel terzo). Siamo alla quarta ondata e l'inverno è ormai alle porte e con l'inverno tornano a salire i contagi i morti e le terapie intensive. Viviamo strani giorni, cantava Battiato e questi 2 anni sono sembrati più lunghi che mai tra speranze e paure. Ci siamo ritrovati più vecchi, soli e fragili in mezzo a qualcosa che credevamo appartenesse ormai ad un lontano e dimenticato passato: le pestilenze. 

Si dice che la storia si ripete e l'umanità di pestilenze ne ha conosciute moltissime e terrificanti. Alcune di queste hanno decimato popolazioni e fatto cadere citta e imperi. Marco Aurelio l'imperatore filosofo romano fu testimone della peste antonina che durò circa 30 anni e sconvolse l'impero romano decimandone le città e le truppe. Secondo alcuni storici l'impero non si riprese mai completamente da tale devastazione che porto poi al declino e alla caduta nei secoli successivi. Le stime parlano di un numero di morti compreso tra 5 e 30 milioni, numeri enormi considerando che la popolazione europea dell'epoca era stimata essere intorno ai 34 milioni di abitanti. 

Stiamo entrando nel terzo anno del covid dicevo e non ne possiamo più, siamo sfiniti, riuscite ad immaginare gli antichi romani vivere 30 fottuti lunghi anni in questa maniera e senza vaccini e medicine? Viene da chiedersi come abbiano potuto farcela. Nel frattempo c'era la vita di tutti i giorni da portare avanti (non esistevano i lockdown) e Marco Aurelio combattè contro i germani e su molti altri fronti in quel trentennio. 

Oggi abbiamo la scienza e i vaccini (che una parte della popolazione rifiuta) e potremmo non farcela lo stesso e per molte ragioni. Se entrassimo in una pandemia perenne tra mutazioni di virus, rifiuto dei vaccini e impossibilità di vaccinare 8 miliardi di abitanti che succederebbe al nostro mondo di oggi? Probabilmente finirebbe per collassare su se stesso. Gli anni 2000 sono stati segnati da continue emergenze e "crisi" di tutti i tipi. Economiche, politiche, climatiche, ora sanitarie. Il mondo vive (o sopravvive) in uno stato di crisi perenne da ormai oltre 20 anni a partire dall'11 settembre 2001 con tutto quello che ne è poi conseguito.

Dopo il crollo dell'impero romano (d'occidente) nel 476 d.C. dovettero passare oltre 1000 anni, prima che l'occidente potesse tornare a vedere la luce nel cosidetto Rinascimento dopo il buio del medioevo. La storia ha i suoi tempi nei quali noi umani restiamo intrappolati spesso potendo fare poco o nulla.

La pandemia sembra restituirci proprio questo senso di impotenza nei confronti dei limiti dell'esistenza umana. Ogni volta che ci crediamo onnipotenti la Natura in qualche modo torna a ridimensionare i sogni di gloria dell'uomo e a ricordarci che non siamo poi così importanti.

La regina degli scacchi


 "Chess is life" diceva Bobby Fisher il primo GM (Grande Maestro) americano a vincere una competizione contro l'URSS nel 1972 in piena guerra fredda, in quella che fu soprannominata la sfida del secolo e non è un segreto per nessuno che Walter Tevis si sia parzialmente ispirato alla vita di Bobby quando mise nero su bianco il suo capolavoro "The queen's gambit"nel 1983. Tevis aveva pubblicato il suo primo romanzo di successo nel 1959 "Lo spaccone"(The hustler)  da cui venne tratto un film acclamato in tutto il mondo con Paul Newman girato in uno splendido bianco e nero per la regia di Robert Rossen. Il film segnò l'inizio della collaborazione col cinema di Walter Tevis. In seguito ben 4 dei suoi 6 romanzi pubblicati vennero traferiti su celluloide da Hollywood e l'ultimo è proprio "La regina degli scacchi" prodotto da Netflix che rappresenta sicuramente uno dei più grandi successi di critica e di pubblico della piattaforma a oggi. 

C'è qualcosa nel modo di scrivere di Tevis che lo rende un autore preferito dai registi. Il suo stile asciutto e privo di fronzoli, il suo modo di "fotografare" la realtà e di saper costruire storie con una narrazione "do it or die it"(o ce la fai o muori) tipiche di una certa frontiera americana che ama le sfide e che esalta l'individuo che riesce ad emergere nonostante le difficoltà dell'esistenza. C'è un fine "educativo"o motivazionale nella sua narrativa che è quello del perdente di successo che sembra rifarsi alla filosofia anglosassone di Tomas Hobbes "Homo homini lupus". In un mondo di conflitto dominato dalla "sopravvivenza del più forte" in senso Darwiniano i "diversi" delle sue storie partono da uan posizione di svantaggio. Beth è un orfana che riesce a riscattare la propria vita grazie agli scacchi. Il mondo non sembra essere un luogo molto interessante per lei ma trova nella perfezione cartesiana della scacchiera lo scenario perfetto per mettersi in gioco. Kasparov dice che le nostre partite sono piene di errori (e se lo dice lui) ma quello che conta è comprendere il meccanismo del ragionamento, quello che ci porta a compiere delle scelte (mosse) giuste o sbagliate. Attraverso questa continua analisi è possibile pervenire ad un modello di comprensione della mente umana, della sua psicologia e delle sue modalità. In questo gli scacchi rappresentano certamente un modello del pensiero umano e filosofico dove la sfida vera è sempre e sopratutto nel superare se stessi e i propri limiti.