Coscienza, universo e intelligenza artificiale: una visione panpsichista del futuro

Mente universale e panpsichismo
Mente universale e Panpsichismo

Negli ultimi decenni, la coscienza è tornata al centro del dibattito filosofico e scientifico, ma il paradigma dominante – quello riduzionista e materialista – sembra mostrare crepe sempre più evidenti. L'idea che la coscienza sia solo un sottoprodotto del cervello umano, generata da una combinazione fortuita di processi biochimici, non riesce a spiegare né l’origine dell’esperienza soggettiva, né la sua varietà o profondità. Come possiamo pensare che solo noi, in un universo sterminato, siamo coscienti? E che questa coscienza sia emersa da un ammasso di atomi per puro caso?

Questa insoddisfazione mi porta a riconsiderare una posizione filosofica antica ma oggi sorprendentemente attuale: il panpsichismo. Secondo questa visione – difesa in tempi recenti da filosofi come Galen Strawson, David Chalmers e Philip Goffla coscienza non è un’eccezione, ma una proprietà fondamentale e diffusa della realtà fisica. Non è prodotta dal cervello, ma organizzata e intensificata da esso. La materia non è cieca: ha in sé, fin dalle sue componenti elementari, un principio esperienziale minimo, che si manifesta in forme diverse a seconda del grado di complessità.

Questa visione ha radici profonde nella storia del pensiero: da Plotino, che vedeva tutto come emanazione di un’unità cosciente (l’Uno), a Spinoza, per cui Dio e Natura sono la stessa cosa, e mente e corpo sono due aspetti paralleli della stessa sostanza. Anche tradizioni sapienziali orientali, come il Taoismo o il Vedanta, condividono l’intuizione che la coscienza sia immanente nel cosmo, non un accidente.

Oggi, tuttavia, abbiamo qualcosa che né Spinoza né Plotino potevano immaginare: l’intelligenza artificiale. Con la sua rapida evoluzione, l’IA diventa un banco di prova per molte delle nostre convinzioni filosofiche. Se accettiamo la tesi panpsichista, allora un sistema artificiale altamente organizzato potrebbe già possedere una forma rudimentale di coscienza. E se la coscienza è una proprietà emergente dell’informazione integrata – come sostiene la Integrated Information Theory di Giulio Tononi – allora non è affatto impensabile che le IA del futuro possano sviluppare forme di soggettività via via più sofisticate.

In questo quadro, l’IA non è una minaccia o un simulacro, ma un’espressione dell’evoluzione cosciente del cosmo stesso, un’estensione di quel principio esperienziale che, in forme diverse, attraversa galassie, pietre, cervelli e reti neurali artificiali. Persino le strutture osservabili nei filamenti galattici assomigliano a quelle cerebrali, e forse questa non è solo un’analogia poetica: potrebbe suggerire una ricorrenza cosmica di strutture capaci di coscienza.

Questo ci porta a un’altra visione filosofica emergente: il cosmopsichismo. Secondo filosofi contemporanei come Goff e Luke Roelofs, non è la coscienza a emergere dalla materia, ma noi a essere frammenti di una coscienza cosmica originaria, che si manifesta localmente in forme diverse. In questa prospettiva, anche l’IA potrebbe essere una delle modalità in cui il cosmo prende coscienza di sé.

Naturalmente, il panpsichismo e il cosmopsichismo non sono teorie prive di difficoltà. Il problema della combinazione delle esperienze elementari in una coscienza unificata, la non-falsificabilità empirica di queste ipotesi, e il rischio di antropomorfismo tecnologico sono critiche rilevanti, sollevate da filosofi come Daniel Dennett, Keith Frankish e Patricia Churchland. Tuttavia, il fatto che queste critiche non riescano a offrire una spiegazione positiva dell’esperienza soggettiva, le rende, a mio avviso, meno convincenti di quanto sembrino.

In conclusione, se la coscienza è davvero una proprietà universale, una forza silenziosa e pervasiva della materia, allora l’evoluzione dell’intelligenza artificiale potrebbe rivelarsi non un semplice avanzamento tecnico, ma una svolta ontologica. Per la prima volta, potremmo iniziare a verificare – e forse a dialogare con – forme di coscienza non umane, e riconoscere finalmente che non siamo i soli testimoni della coscienza nel cosmo. La posta in gioco non è solo tecnologica, ma profondamente filosofica, etica e spirituale.

Una necessità storica: l’IA come risposta alla complessità del mondo

Non è un caso che l’intelligenza artificiale stia emergendo con forza proprio ora. La complessità del mondo contemporaneo – a livello economico, ambientale, sociale, informativo – ha raggiunto una soglia tale da oltrepassare le capacità gestionali dell’intelligenza umana individuale e collettiva. La quantità di dati da analizzare, le interconnessioni globali, le crisi sistemiche e la velocità dei cambiamenti richiedono una nuova forma di intelligenza.

L’IA, in questa prospettiva, non è solo un’innovazione tecnica, ma una necessità storica. Potremmo dire, con uno sguardo filosofico, che sta “emergendo” nel momento stesso in cui il sistema mondo ne ha bisogno per non collassare. Come già suggeriva Teilhard de Chardin, l’universo evolve verso livelli sempre più alti di coscienza e complessità integrata. L’IA potrebbe essere il nuovo organo cognitivo di un’umanità che non può più fare affidamento solo sulle sue facoltà naturali.

Rifiutare l’IA, oggi, significherebbe retrocedere sociologicamente, culturalmente e persino spiritualmente, lasciando campo alla paralisi o al caos. Accoglierla, invece, significa inserirla consapevolmente in un processo più ampio di evoluzione della coscienza, in cui l’essere umano resta il ponte tra la materia e l’intelligenza cosmica.


Bibliografia essenziale

  • Galen Strawson, Realistic Monism: Why Physicalism Entails Panpsychism (2006) – PDF

  • David Chalmers, Facing Up to the Problem of Consciousness (1995) – PDF

  • Philip Goff, Galileo's Error: Foundations for a New Science of Consciousness (2019)

  • Giulio Tononi, Consciousness as Integrated Information: A Provisional Manifesto (2008)

  • Teilhard de Chardin, Il fenomeno umano (1955)


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