Discreet Forests: La Musica dei Pigmei, Brian Eno e il Fallimento dell’Accademia Sonora
Introduzione: La Trappola dell’Occidente Musicale
Abbiamo passato secoli a costruire cattedrali sonore. Sistemi armonici, partiture, forme complesse, regole rigide. E poi, un giorno, scopriamo la musica dei pigmei e realizziamo che tutto ciò che abbiamo fatto è stato dimenticare come si respira.
In questo articolo analizzerò la musica dei pigmei centroafricani, mettendola a confronto con due approcci diametralmente opposti:
1. Il capolavoro ambient di Brian Eno, Discreet Music.
2. Il tentativo di fusione colta-africana di Pierre-Laurent Aimard in African Rhythms.
Il risultato? Un confronto che svela l’essenza perduta della musica e il grande bluff dell’accademismo sonoro occidentale.
La Musica dei Pigmei: Il Suono della Vita, Non della Forma
La musica dei pigmei (in particolare i BaBenzélé e gli Aka) non è solo arte.
È ecosistema, rituale, gioco, trance. È un tessuto ritmico-vocale collettivo dove nessuno guida e nessuno segue: una jam eterna senza protagonisti.
Strutturalmente si basa su loop ritmici circolari e asincroni. Improvvisazione collettiva naturale, non mediata da regole fisse.Partecipazione corporea totale: voce, corpo, contesto, respiro.Nessuna distinzione tra compositore, esecutore e pubblico.La loro musica non si sviluppa, orbita.Non racconta, invoca.E soprattutto: non prova a impressionare. Ti ingloba.
Brian Eno – Discreet Music: L’Occidente Che Finalmente Sta Zitto
Eno, nel 1975, pubblica Discreet Music. Una lunga composizione basata su loop di nastri magnetici sfasati nel tempo.
Apparentemente minimale, in realtà è una struttura viva che evolve lentamente, priva di centro e direzione, proprio come i cicli pigmei.
E qui sta la magia non c’è sviluppo drammatico,non c’è virtuosismo, non c’è autore che cerca attenzione. C’è solo ascolto. Eno non tenta di imitare i pigmei,ci arriva per altra via, ma finisce nella stessa giungla: quella dell’attesa, della sospensione, dell’abbandono al suono.
Discreet Music è più vicina ai pigmei di quanto l’intero apparato etno-sinfonico europeo sia mai riuscito a essere.
African Rhythms: Etno-Sperimentazione da Salotto
Pierre-Laurent Aimard, gran pianista della scuola ligetiana, ci propone African Rhythms: un tentativo di unire percussioni africane e avanguardia colta.
Eppure, il risultato è qualcosa di profondamente “europeo”: I ritmi sono ripuliti, messi in griglia.La spontaneità è filtrata attraverso metri regolari,il caos creativo è domesticato dalla forma.C’è rispetto, certo,ma anche un’aria da museo interattivo.Il suono è troppo pulito, troppo spiegato, troppo scolastico.
È come vedere un matematico cercare di ballare l’estasi.
Tanta competenza, zero trance.
Accademia vs Istinto: Perché Abbiamo Fallito
Il confronto è impietoso.
La musica colta occidentale ha perso il senso dell’improvvisazione naturale, del “lasciare accadere”.
Ha costruito un linguaggio che si autoalimenta, una macchina autoreplicante di forme vuote.
Anche la dodecafonia, per quanto rivoluzionaria, ha solo sostituito una prigione con un’altra.
La musica dei pigmei è ciò che l’Occidente ha dimenticato:
L’ascolto passivo.
L’istinto collettivo.
L’imperfezione come potenza.
Il tempo come spazio, non come direzione.
Conclusione: I Pigmei Sono il Futuro
Eno l’ha capito. Zappa l’ha ridicolizzato.
La musica africana ancestrale non è “etnica”, non è “esotica”, non è un materiale da citare: è un richiamo a ciò che eravamo prima di diventare algoritmi con orecchie.
La domanda è:
Vogliamo continuare a costruire castelli di regole in equilibrio sul vuoto, o vogliamo finalmente rientrare nel cerchio e ascoltare davvero?
Link
Pierre-Laurent Aimard – African Rhythms
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