La fabbrica della coscienza
Se Pasolini resuscitasse oggi (tra uno sputo e un’esclamazione scandalizzata), probabilmente non direbbe nulla: rimarrebbe inorridito, prenderebbe una sigaretta, guarderebbe TikTok per 7 minuti e poi si getterebbe nel Tevere.
Negli anni '60 parlava della perdita del senso del sacro come del trionfo di un nuovo fascismo: quello del consumismo. Diceva che non era arrivato coi manganelli, ma coi frigoriferi, le lavatrici, le pubblicità. Oggi? Oggi quel fascismo è diventato una religione a sé: si chiama algoritmo, si professa su Instagram, si prega su Amazon, e il nuovo paradiso è il Prime Day.
Siamo l’unica epoca della storia in cui lo sviluppo tecnico non è più giustificato da alcun ideale umano. Non per il progresso sociale, non per la verità, non per il bene comune. Solo perché "si può fare"Nulla è più diretto. Non vivi, streammi. Non parli, condividi. Non pensi, reagisci. Tutto è filtrato, monetizzato, misurato. L’essere è stato sostituito dall’essere-dati.
La storia ha visto crisi di senso e apatie collettive, ma mai con questa perfezione algoritmica del nulla. È la prima volta in cui la decadenza è efficientissima. La morte del senso, ma ottimizzata in 5G.
La fabbrica della coscienza
I cosidetti filosofi della scuola di Francoforte (Adorno, Horkheimer, Marcuse & co) avevano già sgamato tutto:
La tecnica non è neutra, dicevano. Serve a standardizzare, semplificare, addomesticare. E quando si combina con l’industria culturale, il risultato è un’umanità che ama le proprie catene, paga per esse, le chiama libertà.
Il capitalismo avanzato non ti vieta nulla. Ti rende semplicemente incapace di desiderare altro.
Questo è l'autoritarismo soft: non ti comanda, ti forma. È la fabbrica del consenso in salsa Netflix. Nessun manganello, solo binge watching.
Arendt, osservando Eichmann, vide che il male moderno non ha zanne, né risate sataniche: ha la faccia grigia dell’impiegato, del tecnico, dell’algoritmo. Nessuna passione, solo “esecuzione di protocolli”.
Oggi quel principio è dappertutto: nelle policy aziendali che licenziano con un'email automatica, negli algoritmi che decidono chi deve vedere cosa, nelle IA che ti profilano senza sapere chi sei. È il totalitarismo della funzione, non dell’ideologia.
L’immaginazione al potere
Marcuse propone la diserzione simbolica e concreta dall’ordine sociale esistente. Non ribellione da bar o tweet, ma un rifiuto profondo del modello stesso di vita imposto: consumismo, efficienza, produttività tossica.
“Non lavoro per comprare oggetti per dimenticare che lavoro.”
È il No che apre spazio al Sì: solo rifiutando radicalmente si può immaginare qualcosa di nuovo.
Altro che sciopero generale: qui si parla di sciopero esistenziale.
Marcuse è un marxista atipico: prende anche Freud, l’estetica, il desiderio, la fantasia. Per lui, l’immaginazione liberata è rivoluzionaria.
Se non riesci a immaginare un mondo diverso, sei già schiavo.
La via d’uscita passa dall’arte, dal sogno, dall’estetica. Non come evasione, ma come detonatore: la bellezza non come lusso, ma come strumento politico.
Tipo:
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“Produttività” per dire sfruttamento.
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“Efficienza” per dire precarietà.
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“Merito” per dire esclusione.
La liberazione passa quindi da un uso nuovo del pensiero: destrutturare il linguaggio del potere, creare nuove categorie per leggere la realtà.
Peccato che oggi Marcuse come del resto Pasolini (nonostante la vuota retorica celebrativa) siano stati messi all'angolo e dimenticati come inutili ferri vecchi. Dopo la "sbornia" libertaria dei 60 e 70 siamo passati al riflusso degli 80 e all'ideologia del capitalismo come unica forma possibile degli anni 90 (dopo il crollo del muro di Berlino e la dissoluzione dell'URSS) a cui avrebbe fatto seguito "la fine della storia".
Fuochi nella nebbia
MARCUSE (guardando il cielo, illuminato da insegne e droni pubblicitari)
«Il progresso tecnico ha ormai divorato ogni spazio per il pensiero critico. L’AI, la realtà aumentata, la comunicazione permanente… tutto questo forma un apparato che non reprime più con la forza, ma col piacere. Il mondo è diventato una prigione senza sbarre, ma con Wi-Fi ad alta velocità.»
PASOLINI (sorride amaro, accendendosi una sigaretta)
«Caro Herbert, lo dicevo anche io: la vera dittatura è quella del consumo. Hanno distrutto le lucciole, ma non con le ruspe: con la TV, con la pubblicità, con il sogno americano importato in provincia. E ora è peggio: si filmano mentre si svuotano. È la mutazione antropologica.»
MARCUSE
«Una mutazione perfetta, perché non percepita. L’individuo oggi non solo è integrato nel sistema: è il sistema. Si esprime nei suoi codici, desidera ciò che gli è stato prescritto. Persino la trasgressione è prevista e monetizzata.»
PASOLINI
«Lo chiamano “autenticità”, ma è un format. L’influencer è il nuovo sottoproletario: più colorato, più visibile, ma totalmente eterodiretto. Io difendevo il corpo sporco, il dialetto, l’imperfezione. Ora vedo solo corpi depilati, pensieri preconfezionati, moralismo digitalizzato.»
MARCUSE
«Eros neutralizzato. L’eros che poteva essere forza sovversiva è stato tradotto in estetica da supermercato, in pornografia algoritmica. Il desiderio è ora una funzione dell’engagement.»
PASOLINI
«Sì, e la tragedia è che non c’è nemmeno più scandalo. Tutto è accettabile, ma nulla è veramente toccante. Viviamo in un mondo dove puoi dire tutto, purché non cambi niente. Una tolleranza che ha sterilizzato la parola. Dove sono i poeti? Dove sono i corpi che urlano verità?»
MARCUSE
«Forse in quei pochi che ancora soffrono. Nel disagio non diagnosticato. Nei giovani che rifiutano, ma non sanno ancora in nome di cosa. Nell’arte che non si lascia catturare dai tag, e nel pensiero che torna a essere silenzio prima che parola.»
PASOLINI (guardando lontano)
«O nei ragazzini che spengono il telefono e cominciano a scrivere con la biro su un quaderno. Senza pubblico. Solo per amore del gesto.»
Un dio mercato deciso da un algoritmo dove vince l'idiozia
Aumentare il tempo di permanenza. Punto.
Non è che i programmatori vogliono promuovere il trash, è che il trash performa meglio, e l’algoritmo lo capisce da solo.
È darwinismo al contrario: sopravvive il più rumoroso, non il più adatto.
Houston, abbiamo un problema colossale, e non è un bug tecnico: è la zombificazione culturale di massa col sorriso stampato e il portafoglio aperto.
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