Tra paradiso e inferno: Marvin Gaye, il genio maledetto della soul music


Marvin Gaye with his piano


Il 1° aprile 1984, un giorno prima di compiere 45 anni, Marvin Gaye cadeva a terra nella sua casa di Los Angeles, colpito al petto da due proiettili sparati da suo padre. Moriva uno dei più grandi cantanti e compositori soul di tutti i tempi, la voce che aveva dato corpo alla sensualità, alla spiritualità e al dolore di un’intera generazione.

La cronaca fu spietata: un figlio geniale e tormentato che regala una pistola al padre-pastore, e viene ammazzato proprio con quell’arma, al termine di una lite che era la fotocopia di mille altre vissute nella sua infanzia. Fine. Sipario. Ma ridurre Marvin Gaye al colpo di pistola che lo spense significa tradirlo. Perché la sua vera storia, quella che resta scolpita, è la parabola di un uomo che in studio costruiva cattedrali sonore perfette mentre fuori distruggeva se stesso pezzo dopo pezzo.


Il ragazzo che cantava per salvarsi

Marvin nasce nel 1939 a Washington. A casa trova un padre-pastore autoritario e violento, che lo punisce per ogni presunta colpa, e una madre amorevole che prova a difenderlo. Quella frattura originaria tra amore e terrore, paradiso e inferno, sarà la bussola di tutta la sua musica. Non a caso aggiungerà una “e” al cognome per staccarsi da quell’uomo e dalla vergogna.

Quando approda alla Motown negli anni ’60, Marvin è un giovane dalla voce angelica, insicuro e ambizioso. Sogna di cantare jazz, ma Berry Gordy, boss della Motown e cognato per matrimonio, gli impone la catena di montaggio del pop-soul: brani scritti da altri, successi radiofonici da tre minuti. Funziona: “How Sweet It Is”, “Ain’t That Peculiar”, e soprattutto i duetti con Tammi Terrell lo trasformano in una star. Ma dietro i riflettori è depresso, fragile, tormentato. Quando Tammi muore giovanissima, Marvin crolla. È il momento in cui capisce che non può più limitarsi a essere la voce di qualcun altro.


Dal vangelo sociale al vangelo erotico

Nel 1971, contro la volontà della Motown, pubblica What’s Going On. È la sua rivoluzione: niente più love songs leggere, ma un concept album su guerra, razzismo, povertà, ecologia. Archi e fiati si intrecciano con bassi pulsanti, e la sua voce guida un intero coro di coscienza. È un capolavoro immediato, un disco che ridefinisce cosa può essere il soul.

Due anni dopo sposta l’attenzione dalla società al corpo: Let’s Get It On è il lato carnale del suo vangelo. Un album che ha fatto concepire più bambini di qualsiasi manuale di educazione sessuale. In mezzo, tra i due poli – spirituale e fisico – Marvin costruisce il suo mito: il profeta che sa cantare Dio e il sesso con la stessa devozione.


Il declino privato

Ma mentre la musica vola, la vita precipita. Marvin diventa schiavo della cocaina e dell’alcol, non paga le tasse, accumula debiti, tradisce compulsivamente. Il matrimonio con Anna Gordy, sorella di Berry, è un inferno di gelosie e rancori. Quando esplode il divorzio, il tribunale lo condanna a una sentenza surreale: i proventi del prossimo album andranno direttamente ad Anna, come risarcimento.

Per qualsiasi altro artista sarebbe stata una punizione, per Marvin un’occasione. Non per liberarsi, ma per colpire.


Here, My Dear: un atto giudiziario in forma di soul

Nel 1978 esce Here, My Dear, il disco più controverso e audace della sua carriera. Un doppio LP di 70 minuti che è, di fatto, la cronaca del suo matrimonio distrutto.

Non ci sono singoli facili, non c’è ricerca di successo. Solo groove ipnotici, arrangiamenti jazzati e quella voce che si moltiplica in cori sovraincisi, a raccontare con crudeltà chirurgica la sua storia con Anna. “Ti ho amato, ti ho odiato, mi hai rovinato”: è un atto d’accusa in musica, inciso su vinile e consegnato al mondo intero.

La sofisticazione è totale: linee di basso sinuose, tastiere avvolgenti, armonie vocali da manuale di perfezionismo. Marvin costruisce un disco intimo, quasi claustrofobico, in cui ogni pausa è una confessione, ogni melodia una ferita. Non è un album da radio, è un album da processare lentamente, come se stessi leggendo un diario segreto che non avresti mai dovuto aprire.

All’epoca fu un disastro: la critica lo fraintese, il pubblico lo ignorò, Anna non si arricchì. Ma col tempo Here, My Dear è diventato un culto, riconosciuto come uno dei lavori più sofisticati e coraggiosi del soul. È Marvin Gaye che usa l’arte non per guarire, ma per infliggere, e nel processo crea qualcosa di immortale.


Il ritorno, l’ultimo crollo

Negli anni ’80 Marvin visse a lungo in Europa, soprattutto in Belgio, per sfuggire all’IRS, l’agenzia delle entrate americana (l’equivalente del nostro fisco), che lo inseguiva per tasse non pagate e debiti milionari. Da lì firma con la Columbia e pubblica Midnight Love (1982): il singolo “Sexual Healing” lo riporta in cima alle classifiche, gli regala due Grammy, sembra l’inizio di una rinascita.

Ma i demoni non mollano: la cocaina, la paranoia, l’ossessione religiosa lo consumano. Nel 1983 torna a Los Angeles, nella casa dei genitori. È il gesto più autodistruttivo possibile: rientrare nella tana del padre che lo aveva torturato da bambino.

Il 1° aprile 1984, durante l’ennesima lite familiare, Marvin provoca il padre, lo spinge. Marvin Sr. prende la pistola che il figlio stesso gli aveva regalato e gli spara. Condannato solo per omicidio colposo, il padre non passerà mai un giorno in carcere. Marvin invece viene seppellito come leggenda, troppo presto.


L’eredità

Oggi Marvin Gaye è ricordato come il poeta del soul, l’uomo che ha cantato le ferite dell’America e le ferite del cuore umano. What’s Going On è il suo vangelo universale, Let’s Get It On la sua preghiera carnale, Here, My Dear la sua confessione più intima e disperata.

Se c’è un album che riassume la sua grandezza e la sua fragilità, è proprio Here, My Dear: un disco nato come vendetta legale, che si è trasformato in un monumento artistico. All’epoca un fallimento, oggi un capolavoro riscoperto.

Marvin non trovò mai pace in vita. Ma nella sua musica lasciò tutto: la rabbia, l’amore, la fede, il peccato. Ed è lì che vive ancora.


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