Around the Next Dream: Quando il Rock si Ricordò di Essere Dio






Nel 1994, mentre il mondo si stava ancora leccando le ferite post-grunge e il Britpop stava per sfornare la sua overdose di giacche mod e ego smisurati, tre leggende si ritrovano in studio per fare una cosa rivoluzionaria: SUONARE. E basta. Niente pose, niente hair spray, niente sample, solo pura dinamite blues-rock. Stiamo parlando di BBM, acronimo spietatamente modesto per Baker, Bruce e Moore: Ginger Baker (batteria), Jack Bruce (voce, basso) e Gary Moore (chitarra). Sì, due terzi dei Cream con l'unico chitarrista bianco che poteva davvero sfidare Hendrix (e Clapton) sul loro stesso terreno. 


Il retroscena: una reunion senza reunion

L’idea di BBM parte da Gary Moore, chitarrista nordirlandese col blues nel DNA e l’aggressività sonora di un carro armato sovietico. Moore aveva già collaborato con Jack Bruce negli anni ’80, ma il pensiero fisso era uno: “E se rimettessimo insieme qualcosa che suoni come i Cream, ma senza le paranoie e le botte?”

Il riferimento non è casuale: la storia tra Bruce e Ginger Baker è roba da romanzo hard boiled. I due, durante l’epopea dei Cream (1966–1968), si amavano come due pitbull affamati chiusi nella stessa gabbia. Bruce una volta raccontò che in tour Baker gli puntava letteralmente la batteria addosso durante i concerti per fargli capire quanto lo odiasse.

Ma, come spesso accade nella musica vera, l’alchimia creativa nasce anche dal disprezzo reciproco. Così, a distanza di 25 anni, accade il miracolo: si ritrovano in studio.

Non lo facevamo per nostalgia. Volevamo solo suonare.” disse Moore in un’intervista del ’94 al Guitarist Magazine. e ancora:
Con Ginger non è mai stato facile, ma quando parte il groove, non ce n’è per nessuno.” – dichiarava Bruce nel documentario Cream: Classic Artists


La nascita del disco

Around the Next Dream viene registrato agli Abbey Road Studios.

La produzione è condivisa tra Ian Taylor (già al lavoro con Moore in precedenza) e la band stessa. La scelta è chiara: fare un disco che suoni vivo, fisico, umano, non un prodotto plastificato da classifica. Niente click track, pochi overdub. La sezione ritmica è uno schiaffo in faccia. Le chitarre sembrano colare lava.

In studio arriva anche Tommy Eyre alle tastiere, già noto per le sue collaborazioni con Joe Cocker e Gary Moore stesso. Il suo tocco Hammond fa da collante senza mai rubare la scena.Il sound: un pugno nello stomaco con classe

Around the Next Dream non è un tributo ai Cream. È un uppercut a chiunque pensi che il rock sia morto negli anni ‘70. Si apre con "Waiting in the Wings", un riff che ti arriva dritto nei denti, Moore che suona come se il mondo stesse per finire e Bruce che canta con una voce che sembra abbia distillato mezzo secolo di whisky e blues.

C’è "Where in the World", una ballad straziante che dimostra che anche i leoni sanno accarezzare. "City of Gold" e "I Wonder Why (Are You So Mean to Me?)" riportano tutto alle radici, con un blues sudato e maleducato che ti fa sentire sporco e felice.

Ginger? Be’, non suona la batteria. La demolisce, come se ogni rullata fosse una dichiarazione di guerra. Ha il suo sound distintivo quello che solo i grandi batteristi possiedono. Suona solo batterie con misure particolari e difficili da reperire (almeno in Italia). Ne so qualcosa perchè fece impazzire uno dei promoter di un suo tour italiano nella seconda metà degli anni 00 che a fatica riuscì a reperirne una per lui.

Tour, tensioni e la morte prematura del sogno

Il tour promozionale parte con grande attesa, tra cui l’esibizione al leggendario Monsters of Rock a Donington Park. Chi c’era racconta di un trio che sembrava sul punto di esplodere – musicalmente e non solo.

La band però non ha mai avuto un vero futuro. In un’intervista a Classic Rock Magazine, Bruce fu lapidario:

“Eravamo tre cavalli da corsa, abituati a correre da soli. Non puoi metterci nello stesso recinto e sperare che si comportino da pony.”

Moore aveva la sua carriera solista lanciata a mille all’ora. Bruce era tornato a suonare jazz-blues e fusion con chiunque avesse una laurea in armonia avanzata. Baker…  beh Baker era Baker. Più facile trattare con un cinghiale che con Ginger Baker.

Arriviamo a “Why Does Love” che è: l’epicentro emotivo di Around the Next Dream. Otto minuti e rotti che non sono una canzone: sono un’escalation sensuale, tragica, e violenta, tutto insieme. Il pezzo inizia con quell’andamento teso, ipnotico, come se Jack Bruce stesse raccontando una storia d’amore finita male seduto al bancone di un pub, mentre Gary Moore fa il barista, ma con una Stratocaster in mano. E Ginger Baker? Ginger non accompagna – tiene il tempo come se stesse inseguendo la sua ex moglie con una mazza da baseball.

Poi arriva IL SOLO. Non un assolo. IL. SOLO.
Gary Moore qui non suona la chitarra, la esorcizza. Ti entra dentro, tira fuori tutto il dolore, la rabbia, l’orgoglio ferito. È slow-burning blues al livello di “Still Got the Blues”, ma con i denti digrignati e il cuore fracassato. È la versione musicale di urlare in macchina sotto la pioggia mentre lei/lui ti ha bloccato su ogni social.

L’interplay fra Bruce e Baker è qualcosa di vergognosamente buono. Come se, per una volta, avessero dimenticato le risse del passato e detto: “Suoniamo da Dio e mandiamoli tutti a casa.” Why does love (have to go wrong) è la bandiera del Rock che svetta in alto prima di morire crivellata dal nulla di plastica odierno. E' il suono che ti dice noi eravamo questo, noi abbiamo volato in alto, mentre voi oggi strisciate in pozzanghere ripiene del vostro stesso piscio

Poi, quando pensi di aver preso la bastonata finale… parte “Naked Flame”.

Sembra una carezza. E poi ti accorgi che è una carezza con le unghie. Moore canta con una fragilità disarmante, la sua voce non cerca di essere bella: cerca di non spezzarsi. La melodia è talmente dolorosa che, sì, potresti vedere un cinghiale cadere in ginocchio, piangere e smettere di copulare – e tu non lo biasimeresti.

È il brano che ti fa mettere giù il whisky, fissare il vuoto e dire: “Dio mio, questi stavano suonando davvero.”


Due canzoni. Una sequenza. Un uno-due emotivo da KO tecnico.

“Why Does Love” ti apre il petto,
“Naked Flame” ci mette dentro un ricordo che non avevi chiesto.

Ecco perché Around the Next Dream non è solo un bel disco: è un'esperienza sonora che ti prende l’anima e la suona come una Gibson piangente.

Un album, un tour, e poi… il silenzio

E qui arriva la parte amara. Oggi, nessuno dei tre è più vivo.

  • Gary Moore muore nel 2011, a soli 58 anni, per un attacco cardiaco durante una vacanza in Spagna. Stava dormendo. Il mondo del blues si è svegliato orfano.

  • Jack Bruce ci lascia nel 2014, a 71 anni, per un’insufficienza epatica. Malato da tempo, ma ancora pronto a suonare.

  • Ginger Baker, infine, ci saluta nel 2019, a 80 anni, dopo una lunga malattia. Fino all’ultimo, è rimasto fedele al suo personaggio: ostile, diretto, geniale.

L’ultima reunion dei Cream avviene nel 2005 alla Royal Albert Hall, immortalata in un album e un DVD. È la chiusura del cerchio, l’addio definitivo. E sì, anche lì Clapton sembra suonare con la passione di uno che ha perso le chiavi della macchina.

Oggi resta solo lui. Eric Clapton.
Ancora tecnicamente vivo, ma emotivamente deceduto da metà anni ‘90.
Qualcuno prima o poi dovrà dirglielo.


Eredità dimenticata (ingiustamente)

Around the Next Dream oggi è un disco che nessuno cita e tutti dovrebbero ascoltare. Non ha avuto hype, non ha avuto singoli da classifica, non ha avuto video con modelle in slow motion. Ha avuto musica. Vera. Cruda. Pericolosa. È il testamento di tre giganti che, per un momento, hanno fatto pace con il passato e creato qualcosa di eterno.

È l’album che i Cream avrebbero potuto fare se fossero sopravvissuti al proprio ego. Ma anche qualcosa di più maturo, più sofferto, più profondo. È blues con le cicatrici. È rock col cuore aperto. È arte.


Voto finale: ★★★★½

Un disco fuori dal tempo, da riscoprire e da amare.


Postlude: E se vi stavate chiedendo che fine hanno fatto gli altri “supertrii”…

Abbiamo parlato dei Cream, dei BBM, della chimica esplosiva tra Bruce, Baker e Moore. Ma chiunque abbia un minimo di memoria storica sa che negli anni ’60 c’erano due super-trii che si contendevano il trono del rock:
i Cream da una parte, e la Jimi Hendrix Experience (con la coda finale della Band of Gypsys) dall’altra.

E allora, per chi se lo stesse chiedendo — magari con la lacrimuccia post-Naked Flame ancora in gola — che ne è stato degli altri protagonisti dell’Olimpo rock anni ’60?

 Dopo la fine di Jimi Hendrix: Che fine hanno fatto Mitch Mitchell, Noel Redding, e la Band of Gypsys?


Mitch Mitchell – Il funambolo dimenticato
Batterista della Jimi Hendrix Experience, mitragliatrice jazz-rock con una fluidità che stava tra Elvin Jones e Keith Moon.
Un mostro di tecnica e groove, sottovalutato perché… be’, accanto a Jimi tutti sembravano semplici comparse.

Chi era?

Dopo la morte di Hendrix (1970):

  • Ha suonato in qualche tributo a Jimi e in tour commemorativi con ex membri e sessionmen.

  • Brevi collaborazioni con artisti minori, nulla di paragonabile al fuoco che aveva acceso negli Experience.

  • Partecipò al progetto abortito "Rising Sun" negli anni ’70, con l’idea di riprendere il suono hendrixiano (spoiler: non funzionò).

Fine amara:

Morto nel 2008, in una stanza d'albergo a Portland, mentre era in tour per un tributo a Hendrix.Aveva 61 anni. Ironia tragica: morì praticamente “on the road”, ancora inseguendo il fantasma di Jimi.

Noel Redding – L’altro dimenticato

Chi era?
Bassista della Experience, anche se in realtà era un chitarrista prestato al basso.
Non amava particolarmente il suo ruolo, ma ha contribuito con un sound aggressivo, dritto, solido — perfetto contrappunto alla follia melodica di Jimi.

Dopo il 1970:

  • Forma i Fat Mattress, band psichedelica dove torna alla chitarra e voce.

  • Suona con vari progetti minori, ma il successo non torna mai.

  • Passa gli ultimi anni in Irlanda, semi-esiliato, lamentandosi (giustamente) di essere stato messo da parte nella narrazione mitica hendrixiana.

Fine silenziosa:
Morto nel 2003, a 57 anni, in modo quasi invisibile per i media mainstream.
Ha passato la vita a cercare riconoscimento per il suo contributo alla leggenda di Hendrix. Spoiler: non lo ha mai davvero ottenuto.


E la Band of Gypsys?

Formata nel 1969 da Hendrix dopo aver sciolto gli Experience.
La lineup originale:

  • Jimi Hendrix – chitarra, voce

  • Buddy Miles – batteria, voce

  • Billy Cox – basso

Un sound più funk, soul, afroamericano: meno acido e più groove, con pezzi killer come Machine Gun, Who Knows e Power of Soul.
Fu anche un tentativo (forzato) di placare Alan Douglas e Mike Jeffery, manager di Hendrix, che volevano un disco live per motivi squisitamente legali e contrattuali.

Buddy Miles

  • Batterista e cantante soul-funk devastante. Dopo Hendrix, ha avuto una discreta carriera solista.

  • Ha collaborato con Carlos Santana, e inciso album con la Buddy Miles Express.

  • Meno visibile dagli anni ’80 in poi, ma sempre attivo in ambito blues e funk.

  • Muore nel 2008 a 60 anni, per insufficienza cardiaca, dopo anni di problemi di salute.

Billy Cox

  • Il bassista più “jazzato” e spirituale di Jimi, amico dai tempi dell’esercito.

  • Dopo Hendrix, ha collaborato a vari progetti tributo (tra cui “Experience Hendrix Tour”), diventando il custode vivente dell’eredità musicale hendrixiana.

  • A differenza degli altri, è ancora vivo (a oggi, 2025), rispettato, ma mai sotto i riflettori.
    Non fa rumore, ma è l’ultimo superstite autentico del suono originale di Hendrix.


Clapton? Ah già, è ancora in giro… ma è clinicamente spento dal '92.

Diciamolo: Eric Clapton è ancora tecnicamente vivo, ma da “Tears in Heaven” in poi ha cominciato un lento e dignitoso processo di auto-mummificazione artistica.
Suona, sì. Ma è il fantasma di Slowhand, sospeso in una bolla di blues da pensionato e idee politiche da boomer spaesato.

Nel frattempo, quelli che avevano il fuoco addosso, che suonavano per salvare l’anima, non la carriera, sono andati via.
E noi restiamo qui, ad ascoltare i dischi, a immaginarli ancora vivi dietro le pelli, le corde e i jack, pronti a far esplodere lo spazio con un assolo che taglia l’universo.


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