Ultimi a laurearsi, primi a emigrare: l’Italia regala cervelli al mondo e si consola coi ticket restaurant



Studenti Italiani all'uscita da una università


Se ne accorgono persino i giornali più compassati, come La Stampa: gli adulti italiani sono i meno istruiti d’Europa. Un quarto della popolazione tra i 25 e i 64 anni ha solo la licenza media. Siamo penultimi per percentuale di laureati tra i giovani (31,6%, davanti soltanto alla Romania con il suo 23,2%), contro una media UE del 44,1%.

Numeri impietosi che ci riportano a un dato ben noto: in Italia studiare paga poco e tardi. Secondo l’OCSE (Education at a Glance 2024), il differenziale salariale tra laureati e diplomati è tra i più bassi in Europa: circa il 25% in più, contro una media OCSE del 55%. Significa che chi si laurea, in Italia, guadagna poco più di chi non lo fa. Ma con anni di ritardo nell’ingresso nel mercato del lavoro, spese per tasse universitarie e stage non retribuiti.

La fuga degli illusi

Non sorprende che i pochi che arrivano in fondo facciano le valigie. Istat stima che ogni anno circa 30-35mila laureati italiani emigrino all’estero. La Corte dei Conti, nel suo ultimo rapporto (2023), parla senza giri di parole di “perdita netta di capitale umano”: lo Stato investe nella formazione, ma i frutti li raccolgono Germania, Francia, Regno Unito e Stati Uniti. È come finanziare un vivaio di campioni e poi vederli giocare solo con squadre straniere.

Secondo l’Eurostat, oltre il 16% dei giovani italiani con istruzione terziaria vive in un altro Paese UE. Tra medici, ingegneri e ricercatori, l’Italia è diventata il più grande esportatore gratuito di cervelli qualificati.

Pane, brioche e ticket restaurant

Nel frattempo, il dibattito politico nazionale si concentra su misure da bar sport. La manovra economica di settembre 2025 discute l’innalzamento della soglia esentasse dei buoni pasto da 8 a 10 euro. Costo stimato per lo Stato: 70-80 milioni l’anno. Beneficio medio per il lavoratore: 450 euro annui. La soluzione proposta al problema dei salari stagnanti da trent’anni è quindi un tramezzino in più a pranzo.

Perché affrontare la questione della contrattazione salariale, degli investimenti in ricerca, del divario tra Nord e Sud, quando si può spacciarli per “fringe benefit” — un parolone inglese che fa molto Silicon Valley e poco aumento reale?

Ultimi della classe, primi del ridicolo

Così l’Italia resta ultima della classe: pochi laureati, stipendi bassi, competenze digitali scarse. Eppure siamo primi in una specialità tutta nostra: la capacità di far passare per riforma epocale ciò che altrove sarebbe una barzelletta.

Si direbbe che, da Machiavelli a Giorgia Meloni, sia stato un attimo. Solo che il Principe almeno sapeva mascherare l’inganno con finezza. Noi invece ci accontentiamo di chiamare “welfare aziendale” il diritto a un panino imbustato.

E mentre gli altri Paesi trattengono i talenti con stipendi e ricerca, noi li salutiamo all’aeroporto di Fiumicino con un biglietto di sola andata e un buono pasto da 10 euro infilato nel passaporto.

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