Dalla marching band al Cosmo: il mio viaggio terrestre col Pat Metheny Group
Io C'ero: Un Viaggio di Vent'anni con l'Ottava Meraviglia del Mondo, il Pat Metheny Group
Prologo: Sulla Soglia dell'Eternità
C’erano una volta le sette meraviglie del mondo. Poi, per chi ha avuto la fortuna di ascoltare, arrivò l’ottava: il Pat Metheny Group. Io c'ero. L'ho visto, l'ho sentito, e sono qui per raccontarvelo nota dopo nota, come chi torna da un viaggio sulla soglia dell’eternità. Questa non è solo una cronaca di concerti, ma una testimonianza biografica che attraversa 21 anni, dal primo, folgorante incontro a Milano nel 1984 alla performance finale, maestosa e definitiva, a Verona nel 2005. È un racconto che vuole gettare un ponte tra chi ha vissuto quell'epoca irripetibile e una nuova generazione di ascoltatori, intrecciando il filo dei ricordi personali con l'analisi critica e il contesto di un'era musicale che ha cambiato tutto.
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1. Il Big Bang Analogico: Milano, 24 Ottobre 1984
In un mondo pre-digitale, privo di social media e piattaforme streaming, l'accesso alla musica era un rituale. Non c’erano smartphone a frammentare l’attenzione, né YouTube a svelare in anticipo la magia. O si andava ai concerti, vivendoli come un'esperienza totalizzante, o si consumavano i solchi dei dischi in vinile, acquistati con i risparmi faticosamente messi da parte. Ogni ascolto era una scoperta, ogni concerto un evento quasi sacro.
In questo scenario, a diciannove anni, ero uno studente di musica al CPM di Milano, la scuola fondata da Franco Mussida, storico chitarrista della PFM. Ho appena inciso il mio primo album. La mia porta d'accesso all'universo di Pat Metheny era stato il doppio album live Travels, un disco che avevo ascoltato centinaia di volte, fino a conoscerne ogni respiro. Quando il First Circle World Tour arrivò in città, capii che non potevo mancare. Stavo per vedere dal vivo la band che, insieme a Lyle Mays, stava scrivendo musica mai sentita prima, un suono che fondeva jazz, rock, ambient, world music e classica contemporanea in un linguaggio completamente nuovo.
La Scena: Il Palatrussardi e la Golden Line-up
L'atmosfera al Palatrussardi di Milano, un teatro tenda che sembrava un'astronave temporanea piena di sogni analogici, era elettrica. Sul palco si sarebbe materializzata quella che oggi viene ricordata come la "golden line-up" del gruppo:
- Pat Metheny – chitarre
- Lyle Mays – tastiere (e chiavi dell’universo)
- Steve Rodby – basso
- Paul Wertico – batteria
- Pedro Aznar – voce, percussioni, tastiere
Quella sera, però, non ci fu un inizio convenzionale. Nessun buio in sala, nessun effetto a sorpresa. Ci fu qualcosa di molto più potente: la band entrò in parata dal fondo della sala, camminando tra il pubblico con strumenti bizzarri in mano, suonando come una marching band venuta da un universo parallelo. Ridevano, improvvisavano, e con quel gesto demolirono le convenzioni formali e spesso sterili dei concerti jazz-fusion anni '80, segnalando una band che privilegiava la gioia comunitaria all'esibizionismo tecnico. Era chiaro fin da subito: non stavamo assistendo a un concerto. Stavamo entrando in un'altra realtà.
Memorie di una Scaletta
La scaletta di quella sera, ricostruita tra memoria e ricerche, fu un viaggio attraverso la loro rivoluzione sonora:
- Forward March (Un'introduzione geniale, totalmente fuori dagli schemi)
- Yolanda, You Learn
- The First Circle (Capolavoro totale. Quel 12/8 che creava un mal di cuore sincronico)
- Phase Dance
- Au Lait
- James
- Goodbye
- San Lorenzo
- The Fields, The Sky
- Are You Going With Me? (Inevitabile. Ovazione obbligatoria, con Aznar che cantava con l'anima in mano)
- Song for Bilbao
- Straight On Red (spesso usata nei bis)
- Tell It All (o al posto, End of the Game)
Quella prima esperienza lasciò un'impronta indelebile, l'inizio di un lungo inseguimento musicale che mi avrebbe accompagnato per i due decenni successivi.
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2. La Traiettoria Interstellare: Gli Anni tra i Due Mondi
Quel concerto a Milano non fu un evento isolato, ma l'inizio di una visione, di una colonna sonora personale, di una vera e propria ossessione musicale. Il mio percorso di crescita come ascoltatore e musicista procedette in parallelo con quello della band, che sembrava non esaurire mai idee, energia e poesia.
Tra il 1984 e il 2005, il Pat Metheny Group ha continuato a macinare album che erano tappe di un viaggio sonoro senza precedenti. Dischi come Still Life (Talking), Letter From Home e Imaginary Day non erano semplici raccolte di brani, ma nuovi universi da esplorare. Ogni album alzava l'asticella, ogni tour presentava una nuova incarnazione di quel suono in continua evoluzione. Il motore creativo di questa traiettoria inarrestabile era il sodalizio artistico e umano tra Pat Metheny e Lyle Mays, una simbiosi che ha permesso loro di scrivere pagine incredibili di musica senza mai voltarsi indietro. E fu proprio questo sodalizio a dare vita all'opera finale, The Way Up, il culmine di questo percorso ventennale e il motivo del mio ritorno a un altro appuntamento con la storia.
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3. Il Finale Maestoso: Castello Scaligero di Villafranca Verona, 15 Giugno 2005
Il concerto di Verona non era un semplice appuntamento di un tour. Era la celebrazione di un'opera monumentale, The Way Up: un unico brano di 68 minuti, suonato senza pause né compromessi. Non era un disco, era un manifesto sonoro, l'ultima, potentissima dichiarazione congiunta di Metheny e Mays. Quando seppi che sarebbero passati in Italia, capii che dovevo esserci. Entrando al Castello, 21 anni dopo Milano, sentii di star tornando nello stesso spazio sacro.
La Scena: Il Castello e l'Attesa
Quella sera d'estate, il Castello Scaligero era un catino ribollente di attesa. Il tutto esaurito era garantito, con fan arrivati da Svizzera, Austria e Germania, consapevoli di assistere a un pezzo di storia. E infatti noi siamo in piedi insieme a molti altri, stipati in ogni spazio disponibile. Vagando sull'erba prima dell'inizio, vedo Pat Metheny dietro le quinte, chitarra in mano, immerso in un warm-up che non avrebbe interrotto fino a pochi istanti prima di salire sul palco. La sua concentrazione tradiva lo sforzo titanico, compositivo e performativo, richiesto da un'opera come The Way Up.
L'Orchestra Perfetta: La Formazione di The Way Up
Quando le luci si spensero, sul palco salì un'orchestra di sette elementi, una macchina perfetta, affilata e spirituale, in cui ogni musicista era un organo vitale.
- Pat Metheny: Il comandante supremo (synth, acustica, baritona, e qualche arma segreta). La sua chitarra non era uno strumento, ma un'estensione della sua anima con cui comunicava con l'universo.
- Lyle Mays: Architetto sonoro, mente parallela di Metheny e co-autore dell'intera opera. Quello fu il suo ultimo volo ufficiale con il PMG, un addio silenzioso che si percepiva in ogni nota.
- Steve Rodby: Il pilastro ritmico zen. Silenzioso ma vitale, una colonna d'aria che vibrava con precisione assoluta.
- Antonio Sánchez: Un tornado. Una batteria che respirava, cantava e incalzava. Un metronomo con un cuore e steroidi poetici.
- Cuong Vu: La sorpresa aliena del tour. La sua tromba non era "jazz", ma texture, tensione, acido melodico che creava strati da brividi cosmici.
- Grégoire Maret: Anima, respiro e magia eterea. La sua armonica cromatica cambiava la densità dell'aria.
- Nando Lauria: Colori e sfumature brasiliane. La sua voce, le chitarre e le percussioni davano corpo ai dettagli impossibili.
In netto contrasto con il caos analogico e l'ingresso festoso di Milano, qui regnava una concentrazione sacra, quasi intimidatoria. I sette musicisti suonarono l'intera opera a memoria, senza leggere una nota. I temi musicali tornavano, si trasformavano, esplodevano in un flusso surreale, fino al ritorno trasfigurato del motivo pentatonico iniziale. Fu un'illuminazione, come vedere la musica ricordarsi di sé stessa. Sul palco, l'intesa tra Metheny e Mays era telepatia pura: si dirigevano a vicenda e guidavano la band senza quasi guardarsi.
Dopo aver suonato per intero The Way Up, il piccolo anfiteatro esplose. La band prese fiato e Metheny si avvicinò al microfono: "Dopo aver suonato l'ultimo album, abbiamo scelto qualcosa per voi dal nostro repertorio". E la band attaccò Are You Going With Me?. Il suono mi riportò indietro di vent'anni. Vidi Lyle Mays, seduto al piano con un'attitudine regale, i capelli biondi raccolti in una lunga coda. Sembrava di osservare un Bach o un Mozart, un maestro zen con la dignità di chi ha visto altri mondi. Era lui l'anima gentile e profonda del PMG, un jazzista con l'anima di Debussy. In quel momento, forse senza ancora capirlo, stavamo assistendo a un addio definitivo.
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4. Epilogo: Il Silenzio, L'Eredità e la Genialità di Lyle Mays
Quello di The Way Up fu il tour di addio che non si è mai chiamato addio. Il Pat Metheny Group scelse di salutare il mondo in modo maestoso, con una musica che sembrava provenire da un altro pianeta, per poi svanire nel silenzio.
Dopo quel tour, Lyle Mays si ritirò dalle scene. Si è spento nel 2020, a 66 anni, dopo una lunga battaglia contro una malattia degenerativa. Non smise mai di creare, continuando a scrivere musica per film e installazioni e occupandosi di design sonoro, software, intelligenza artificiale, architettura e matematica. Era un cervello multidimensionale, un genio rinascimentale prestato al jazz.
Dopo la sua scomparsa, Pat Metheny ha scritto di lui parole che ne definiscono l'essenza:
"Lyle was one of the greatest musicians I have ever known. Across a period of more than 30 years, every moment we shared in music was special. From the earliest days, I knew he was a genius."
L'eredità del Pat Metheny Group non è un insieme di canzoni, ma un'architettura emotiva che ha segnato un'epoca e che continua a risuonare oggi con la stessa, disarmante potenza. La loro musica non invecchia, perché non è mai appartenuta a un tempo preciso.
Per questo, l'ottava meraviglia del mondo è ancora qui, intatta. Ai giovani lettori e ascoltatori dico: cercatela. Non troverete solo musica, ma un intero universo sonoro che trascende le mode e il tempo. Un invito a intraprendere il vostro personale viaggio sulla soglia dell'eternità.
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