No Kings: il fantasma di Nixon sul trono di Trump
Un quarto di secolo rubato: anatomia dell’era dell’emergenza
Introduzione: Una generazione in apnea
È passato un quarto di secolo. Venticinque anni in cui un’intera generazione è stata addestrata a vivere nell’eccezione permanente e a chiamarla normalità. Ci hanno rubato non solo il tempo, ma il concetto stesso di futuro: ogni volta che si prova a immaginarlo, una nuova emergenza impone il suo veto, sussurrando un perentorio “non ora”. Questa sospensione cronica, questa apnea esistenziale, non è un caso. È il risultato di una precisa architettura del potere e della percezione, un meccanismo che ha anestetizzato il dissenso e normalizzato la crisi nel cuore di una vera e propria guerra fredda dell’informazione. Ma come siamo arrivati a questo punto? Per comprenderlo, è necessaria un’anatomia spietata della nostra epoca, un’analisi delle forze che l'hanno plasmata e che oggi ne contendono il futuro.
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1. Anatomia dell'Anestesia Collettiva
Per comprendere la paralisi attuale, è indispensabile sezionare il meccanismo di controllo psicologico e sociale messo in atto negli ultimi venticinque anni. Il suo motore è stato un flusso continuo di allarmi, una strategia precisa volta a occupare lo spazio mentale collettivo e a disinnescare ogni spinta trasformativa. La sequenza delle crisi è stata ininterrotta, quasi scientifica nella sua cadenza: prima la paura del terrorismo post-11 settembre, poi la crisi finanziaria globale, seguita dalle guerre ai confini dell'Occidente e dalla pandemia, infine, dalla guerra dell'informazione, una battaglia combattuta direttamente nelle nostre menti.
L'impatto psicologico di questo bombardamento segue una formula quasi chimica: adrenalina + impotenza = apatia. Ogni allarme innesca una scarica di adrenalina. Ma di fronte a minacce globali e sistemiche, questa energia si scontra con un profondo senso di impotenza. Il risultato non è la rivolta, ma un'anestesia collettiva. L'organismo sociale, sovrastimolato e frustrato, si spegne per autodifesa. In questo contesto, la vera censura moderna ha cambiato volto. Non è più il divieto, ma la saturazione. I poteri attuali hanno compreso che non serve più bruciare i libri quando si possono semplicemente sommergere le menti. Non è necessario mettere il bavaglio quando si può stordire di notifiche. Il risultato è un paradosso assordante: un mondo con miliardi di voci, in cui nessuna voce riesce più a contare davvero.
Ma questa anestesia non è totale. Proprio quando il controllo sembra perfetto, qualcosa si incrina. Il fatto che milioni di persone si pongano di nuovo domande, che tornino a occupare le piazze, significa che la memoria si sta risvegliando. Ed è la cosa che i sistemi di potere temono di più: una memoria collettiva lucida, che prepara il terreno non più alla sottomissione, ma alla resistenza.
2. Il Ritorno del Gendarme e il Tradimento della Sinistra
Il vuoto e la paura generati dall'era dell'emergenza creano le condizioni ideali per il ritorno di una specifica forza politica. Per decifrare il presente, è cruciale comprendere la dinamica storica che regola da sempre il rapporto tra questa forza e la sua controparte. La destra, in tutte le sue gradazioni, è storicamente il gendarme del capitalismo: la forza d'ordine che il sistema chiama in campo quando ha bisogno di disciplina, non di fantasia. Quando le disuguaglianze diventano troppo evidenti, la destra non le risolve: le normalizza moralmente. Trasforma la precarietà in "libertà", la sorveglianza in "sicurezza" e la povertà in una colpa individuale di chi "non si impegna abbastanza".
Tuttavia, la storia insegna una lezione inequivocabile: la destra vince quando la sinistra tradisce. Ogni volta che la sinistra smette di rappresentare le istanze dei lavoratori, dei giovani e degli esclusi per adottare il linguaggio dei mercati e dei salotti, genera un vuoto che viene riempito dalla rabbia. Elettorati interi si sentono abbandonati e si vendicano. Non è un voto ideologico, ma un "voto del rancore"; non è un voto fascista, ma, come aveva già intuito Pasolini, orfano. È l'espressione di una delusione profonda che cerca un approdo, qualunque esso sia. Questo ciclo storico è oggi amplificato da una variabile che ha cambiato per sempre le regole del gioco: il controllo dell'informazione, capace di trasformare il rancore in consenso e la paura in obbedienza.
3. Scacco Matto al Dissenso: Paura, Distrazione e Criminalizzazione
Dopo gli ultimi sussulti di protesta globale dei primi anni 2000, è stata messa in atto una strategia a due mosse per neutralizzare la partecipazione civile e trasformare il cittadino da attore a spettatore. Uno scacco matto apparentemente perfetto.
La prima mossa è stata la paura. L'11 settembre 2001 non è stato solo un attentato: è stato l'evento fondativo del XXI secolo. Ha permesso di riscrivere il contratto sociale occidentale secondo una nuova clausola: ti proteggo, ma tu obbedisci. È nata così la società della sicurezza permanente, in cui una generazione intera è cresciuta convinta che la libertà non sia un diritto, ma un rischio da contenere. La seconda mossa è stata la distrazione: l'intrattenimento di massa come sedativo. Dalla televisione ai social media, l'attenzione è diventata la nuova moneta di scambio. La protesta si trasforma in hashtag, la rabbia in meme. La politica si svuota e anche la rivolta diventa uno spettacolo: breve, estetico, inefficace.
Quando queste due mosse non bastano, scatta l'escalation finale: una trasformazione semantica del dissenso, che cessa di essere "espressione democratica" per diventare "minaccia alla sicurezza nazionale". L'etichettatura di gruppi come Antifa come "organizzazioni terroristiche", l'uso dell'IRS per investigare associazioni non allineate e l'applicazione di strumenti antiterrorismo contro le proteste interne negli USA, come nel caso del movimento "No Kings", sono la manifestazione di questa deriva. È ciò che il filosofo Herbert Marcuse chiamava tolleranza repressiva: ti si lascia parlare, ma nel frattempo si ridefiniscono le parole per criminalizzare chi non si allinea. Un processo che inasprisce inevitabilmente lo scontro sociale.
Eppure, proprio quando la partita sembrava chiusa, milioni di persone hanno smesso di guardare lo schermo e sono tornate a occupare lo spazio fisico, ribaltando la scacchiera.
4. La Scacchiera si Ribalta: "No Kings" e il Fantasma di Nixon
Il ritorno di milioni di persone nelle piazze è l'evento politico più radicale della nostra epoca. È un reset cognitivo che rompe la bolla della distrazione e ricorda al potere una verità fondamentale: non si può censurare una massa di corpi visibili, vivi e rumorosi. Questo risveglio ha messo in moto una dinamica che espone la vulnerabilità del sistema, perché, come sa ogni buon scacchista, la repressione espone il re. Una protesta di massa innesca una crisi di legittimità pubblica che erode il consenso; allarma le élite economiche e politiche, che temendo l'instabilità iniziano a ritirare il loro supporto; e crea un rischio di rottura istituzionale, quando giudici o forze dell'ordine locali si rifiutano di eseguire ordini impopolari. Nessuna democrazia, infine, vuole apparire come un regime autoritario sotto la pressione della narrativa globale.
Questo scenario evoca un potente parallelo storico: l'effetto Nixon. Il crollo di Richard Nixon non fu causato solo dallo scandalo Watergate, ma dal contesto di un'America stanca e attraversata da una profonda perdita di fiducia collettiva. Oggi, l'America è ugualmente spaccata, con un'opposizione che non ha più paura della piazza. La storia insegna che quando il potere diventa più rischioso che redditizio, gli alleati diventano testimoni. C'è però una differenza cruciale. Se Nixon affrontava pochi giornali e tre reti televisive, un potere odierno affronta centinaia di milioni di testimoni armati di smartphone. Il controllo del messaggio è diventato impossibile. Ogni abuso può agire come un detonatore simultaneo, scatenando un'ondata di sdegno che nessuna propaganda può contenere.
5. Profezia Americana: Il Futuro sulla Scacchiera
Al di là dello scontro contingente, le forze in campo stanno già disegnando l'America — e di riflesso l'Occidente — di domani. Questa non è profezia, ma una lettura strategica delle traiettorie in atto, riassumibili in tre fasi:
- 2001–2025: fase della paura e distrazione (controllo).
- 2025–2035: fase del collasso e frammentazione (transizione).
- 2035–2050: fase del riassemblaggio (nuovo patto sociale).
Breve Termine (1-3 anni): Frammentazione Controllata
Questa fase sarà definita da una polarizzazione strutturale alimentata da costanti "micro-guerre culturali". Assisteremo a una crescente militarizzazione del discorso interno, con più sorveglianza e leggi eccezionali. A questo risponderà una reazione giovanile e culturale potente: un nuovo 1968, ma in versione 5G, combattuto tanto sulle piattaforme digitali quanto nelle piazze, dove l'arte tornerà a essere un luogo di resistenza.
Medio Termine (5-10 anni): Mutazione della Democrazia
In questa seconda fase, vedremo la transizione verso una repubblica semi-digitale, un mondo in cui governance e algoritmo si fonderanno e le decisioni politiche saranno mediate da piattaforme private e intelligenze artificiali. Parallelamente, assisteremo a un ritorno del localismo, con stati e città che agiranno come entità quasi autonome, inseriti nel quadro di una visibile decadenza imperiale, con un'America più introversa e nervosa.
Lungo Termine (10-25 anni): Nascita dell'America Post-Americana
La trasformazione finale porterà a una transizione generazionale totale e a una rinascita multiculturale che ridefinirà l'identità nazionale. Il principale catalizzatore politico non sarà più l'economia, ma l'emergenza ambientale, che imporrà un "New Deal climatico" come nuovo patto sociale. Assisteremo infine alla fine del "sogno americano" e all'inizio del "realismo americano", un'ideologia fondata non più sull'ascesa individuale ma sulla resilienza e sulla comunità.
6. Conclusione: La Battaglia Cognitiva è Adesso
Antonio Gramsci scrisse: "Il vecchio mondo sta morendo, e quello nuovo tarda a comparire. In questo chiaroscuro nascono i mostri". La nostra epoca è esattamente questo interregno: un tempo denso di pericoli ma anche di possibilità.
Tuttavia, i mostri non sono eterni. Ogni ciclo autoritario genera la sua controspinta, la sua "resistenza 3.0". Lo scontro attuale non è più ideologico, ma una battaglia cognitiva: una guerra per la percezione, per l'immaginario, per la coscienza stessa. E in questa guerra, lo strumento di resistenza è lo stesso che genera il caos.
La rete digitale, caotica e rumorosa, è anche, paradossalmente, il più potente laboratorio democratico mai esistito. Mai prima d'ora così tante persone hanno avuto la capacità di organizzarsi e creare contro-narrazioni. In questo scenario, l'arte, la musica e la cultura cessano di essere intrattenimento per diventare armi essenziali. Non raccontano la lotta: sono la lotta. Hanno il compito di forgiare i simboli, i suoni e le visioni di una nuova coscienza collettiva, agendo come un detonatore culturale nella guerra per il futuro.
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