Pat Martino: l’uomo che visse due volte – il chitarrista che riscrisse sé stesso



Cosa succederebbe se un artista acclamato si svegliasse un giorno senza ricordare nulla della propria arte, né di sé stesso? Se il virtuosismo, la tecnica e l'identità costruiti in una vita svanissero nel nulla, cosa rimarrebbe? Questa non è la trama di un film, ma la storia vera di Pat Martino, il leggendario chitarrista jazz che ha dovuto affrontare proprio questo abisso.

Martino non è solo un musicista, è un’anomalia umana, un glitch nella matrice della biologia e del jazz. È "l'uomo che è vissuto due volte": prima un prodigio della chitarra, poi un uomo senza passato costretto a reimparare tutto. La sua incredibile vicenda, però, non è solo una storia di resilienza. È un viaggio iniziatico che offre lezioni radicali sulla creatività, la coscienza e l'essenza stessa dell'arte, che vanno ben oltre il mondo della musica.

Prima Lezione: Perdere la memoria per trovare la propria voce

La prima lezione di Martino è un pugno cosmico: per trovare la propria voce, bisogna prima perderla. Nel 1980, all'età di 36 anni e al culmine della sua carriera, un aneurisma cerebrale lo cancella. Al risveglio, il blackout è totale. Non è semplice amnesia, è un reset esistenziale: dimentica i suoi genitori, la sua identità e, cosa più devastante, dimentica cosa sia una chitarra.

Segue un decennio di silenzio, dal 1980 al 1987. Un limbo oscuro segnato da una depressione severa e pensieri suicidi. Sparito, evaporato. Inizia allora un processo di ricostruzione surreale: Martino è costretto a reimparare a suonare studiando i dischi e i video di sé stesso, come un archeologo che analizza le reliquie di un musicista sconosciuto.

In quel periodo, la sua famiglia tenta di riaccendere una scintilla facendogli ascoltare i suoi album classici, dischi come El Hombre e Consciousness. La sua reazione è lucida, fredda, completamente distaccata. Ascolta quel virtuoso sconosciuto e commenta con la curiosità di un critico:

"Bravo questo qui. Ha un bel tocco. Chi è?"

Questa frase è la chiave di tutto. Non si riconosceva, ma riconosceva la qualità del suono. Il suo DNA musicale non era stato cancellato, solo congelato. Quando finalmente torna nel 1987 con l'album The Return, è chiaro che per ritrovare la sua anima, ha dovuto prima dimenticare il suo nome.

Seconda Lezione: L'armonia non è teoria, è il cosmo

Incontro Pat Martino a Modena durante un seminario in cui sono il suo assistente e traduttore, gli studenti si aspettano da Martino una magica formula da Berklee, segreti tecnici e progressioni complesse. Quello che ricevono, invece, è un esorcismo musicale che disinstalla il cervello accademico e reinstalla la coscienza sonora. Alla domanda su quale fosse il suo concetto armonico, Martino sgancia la bomba.

"Il mio concetto armonico deriva completamente dall’I-Ching."

BOOM. Silenzio in sala. Invece di manuali di teoria, cita l'antico "Libro dei Mutamenti" cinese. Per lui, la musica non era un insieme di regole statiche, ma un sistema dinamico di energia, un flusso di tensione e risoluzione come le forze cosmiche di yin e yang.

Poi, senza suonare una nota, compie un gesto che trasforma la chitarra in un ideogramma vivente. Indica le sei corde e dice:

“Questa è la posizione con i sei esagrammi continui. Sei linee — sei corde. È uno stato potenziale. Appena tocchi una nota, l’esagramma si apre. Il cambiamento comincia.”

In quel momento, smette di essere un chitarrista e diventa un mistico col plettro, un filosofo zen redivivo. Stava insegnando che la musica non è un linguaggio da imparare, ma un sistema di risonanza da osservare.

Gli altri studiavano il Real Book. Martino studiava l’Irreale Book.

Terza Lezione: Una canzone può essere lo specchio dell'anima

Ci sono brani che non si possono suonare, si possono solo vivere. "Round Midnight" di Thelonious Monk è uno di questi. Non è un semplice standard jazz. È il test di Turing del jazzista: una prova psico-emotiva che separa chi sa processare note da chi sa sentire l'anima.

È un brano che non ammette bluff. Ti costringe a una nudità emotiva totale. Il 90% dei musicisti che ci provano cadono rovinosamente, perché non puoi nasconderti dietro la tecnica.

Quella sera durante il concerto, l'esecuzione di "Round Midnight" da parte di Pat Martino non fu un assolo. Fu una confessione. Una seduta spiritica. Il suono era così crudo, profondo ed essenziale che chi era presente giura che “anche i muri cominciarono a piangere”.

Ogni nota raccontava una storia di perdita e di ritorno. Solo un uomo che era stato davvero alla mezzanotte dell'anima — che aveva conosciuto l'oblio, la cancellazione di sé, e ne era tornato — poteva suonare quel brano con una tale, devastante onestà. Non stava suonando il buio. Era il buio e la luce che ne emerge.

Quarta Lezione: La vera musica inizia dove finiscono le regole

La perdita della memoria costrinse Martino a capire ciò che molti musicisti impiegano una vita a scoprire: l'essenza della musica è pre-grammaticale. Esiste prima e al di là della teoria, che spesso riduce i musicisti a "funzionari del pentagramma".

Questo non significa che Martino fosse contro la teoria. Semplicemente, era oltre. Per lui, spiegare la musica con scale e modi era come usare le tabelline per descrivere la fisica quantistica: un'approssimazione ridicola di fronte alla complessità dell'universo. Dopo la sua rinascita, capì che per trovare la Musica con la M maiuscola bisogna avere il coraggio di gettare via le "regolette da asilo infantile".

La sua esperienza lo aveva costretto a connettersi direttamente con il flusso del suono, senza filtri. E da lì è emersa la sua lezione più potente: la musica vera comincia solo quando smetti di recitarla e inizi a esserla.

Conclusione: Imparare a dimenticare

Il viaggio di Pat Martino è la storia di un uomo che ha dovuto perdere la mente per trovare l'anima della sua musica. Ha dimenticato chi era per scoprire cosa fosse veramente il suono. Le sue lezioni non sono solo per i chitarristi, ma per chiunque si occupi di creatività. Ci insegnano che a volte, per costruire qualcosa di nuovo, non dobbiamo aggiungere conoscenza, ma rimuovere sovrastrutture.

La sua vita ci lascia con una domanda fondamentale, tanto semplice quanto radicale.

E se per creare qualcosa di veramente autentico, la prima cosa da fare non fosse imparare, ma dimenticare?




🎸 Pat Martino – Discografia Essenziale Consigliata

Questa selezione non è una lista esaustiva, ma un percorso mirato attraverso le tappe fondamentali dell’evoluzione artistica di Pat Martino. Dall’esordio infuocato degli anni '60 alla maturità consapevole degli ultimi lavori, ogni disco qui citato rappresenta un passaggio chiave nella sua storia musicale e umana.


1. El Hombre (1967) – ★★★★★

L’esordio che brucia.
Registrato quando aveva appena 22 anni, è un debutto incredibilmente maturo. Affonda le radici nel soul-jazz e nel bop, ma già emergono il controllo assoluto della linea melodica e una personalità ben definita.
Un classico istantaneo, ancora oggi riferimento per chi vuole comprendere l’arte dell’improvvisazione chitarristica.


2. Consciousness (1974) – ★★★★★

Il manifesto della sua poetica musicale.
Un disco che segna l’evoluzione verso un linguaggio più sofisticato e riflessivo. Le interpretazioni sono intense, la tecnica è al servizio della profondità espressiva.
La cover di “Impressions” di Coltrane è un tour de force.
Un album imprescindibile.


3. Joyous Lake (1976) – ★★★★☆

Il lato elettrico e sperimentale.
Qui Martino abbraccia il jazz fusion, ma con eleganza e profondità. L’interplay con la band è serrato e ricco di sfumature, e la scrittura è visionaria.
Un disco più “elettrico”, ma mai superficiale.
Una tappa fondamentale per comprendere il suo spirito innovatore.


4. The Return (1987) – ★★★★☆

La rinascita dopo il buio.
Primo album dopo l’aneurisma e la perdita della memoria. Un disco asciutto, diretto, quasi terapeutico.
Il titolo non è casuale: è il suono di un artista che ritrova sé stesso nota dopo nota.
Emotivamente potentissimo.


5. Live at Yoshi’s (2001) – ★★★★★

Martino dal vivo, al massimo della maturità.
Una registrazione live straordinaria per intensità, pulizia e interazione con il trio. L’intensità è palpabile, e il tono della chitarra è caldo, deciso, magnetico.
Uno dei migliori live jazz chitarristici degli ultimi decenni.


6. Think Tank (2003) – ★★★★☆

L’introspezione al centro.
Con un cast stellare (Joe Lovano, Gonzalo Rubalcaba, Christian McBride, Lewis Nash), Martino costruisce un album profondo, cerebrale, denso di significato.
Un disco “adulto”, per chi vuole esplorare la sua visione musicale più complessa.


7. Formidable (2017) – ★★★★☆

Il testamento musicale.
Ultimo album in studio, registrato in età avanzata, ma con lucidità e intensità intatte.
Sobrio, elegante, pieno di consapevolezza. Un suono pacificato, essenziale.
Chiude il cerchio con grazia e profondità.


📌 Per Approfondire (consigliati per chi vuole esplorare oltre)

  • East! (1968) – ★★★★☆
    Un disco ancora “classico”, ma con spunti già avanguardistici.

  • Baiyina (The Clear Evidence) (1968) – ★★★★☆
    Uno dei primi esperimenti di fusione tra jazz e spiritualità orientale.

  • Exit (1977) – ★★★☆☆
    Più libero e sperimentale, offre uno sguardo su lati meno “controllati” della sua produzione.



Commenti

Post popolari in questo blog

I segreti del suono di Stevie Ray Vaughan: corde, amplificatori ed effetti

Il modo di suonare di Johnny Winter: energia pura e tecnica senza compromessi